di Marco Gritti (Futura news – Master in giornalismo “Giorgio Bocca”)

«Il momento è serio ma non catastrofico». Inizia così la riflessione sullo stato di salute dell’Europa di Gian Enrico Rusconi, settantanovenne storico e filosofo italiano. Potrebbe sembrare paradossale, visto il momento che attraversa la politica continentale, tra Brexit, ingerenze russe, Erdogan e populismi che si agitano un po’ dappertutto. Senza dimenticare quel che succede a Washington, dove il neo protezionismo in salsa trumpista spaventa i fragili equilibri commerciali del vecchio continente. Ma il messaggio che il professore emerito di Scienze Politiche lancia vuole essere ottimistico: «Martin Schulz, ad esempio, è una risposta che dà speranza. Dobbiamo evitare di chiedere ai cittadini di esprimersi con un voto sull’Europa. Non fraintendetemi, ho ben presente cosa siano le democrazie rappresentative, ma i populismi sono la fine della nostra democrazia».

Accanto a lui siede Claus Offe, politologo tedesco, autore nel 2014 di “L’Europa in trappola”. Nel suo discorso, concreto e realista, cerca
di ricostruire le origini di quell’Europa a due velocità che ora rappresenta una delle fratture del continente: «Oggi diciannove dei ventisette stati membri dell’Unione hanno sì la moneta unica, ma alcuni di questi, quelli di integrazione più recente, sono privi dei presupposti per un buon funzionamento. L’errore madornale è stato usare l’euro come atto iniziale di convergenza con gli stati già membri. Sarebbe dovuto essere la conclusione di un progetto, ma così non è stato. In questo modo alcuni paesi sono entrati come vincenti e
altri come perdenti». Offe individua quindi due fratture in Europa: una economica, tra i Paesi del nord mediamente più prosperi e quelli mediterranei caratterizzati da crisi del debito e bassa crescita. E l’altra politica, «tra gli stati più nuovi e i vecchi stati membri.
Quelli nuovi  hanno tratti neo comunisti che talvolta sfociano in populismo e tendenza alla corruzione».

Non tutto è perduto, comunque. Quel che è certo è che il 2017 sarà un anno di svolta, non tanto per le celebrazioni dei sessant’anni dei Trattati di Roma e la firma della Dichiarazione del 25 marzo scorso – che Rusconi definisce «vaga e molto deludente» – quanto piuttosto per le tornate elettorali che attendono Francia e Germania, da sempre propulsori dell’Europa per come ora la conosciamo. Se l’onda populista dovesse arrestarsi, il progetto europeo avrebbe l’occasione per rilanciarsi, a patto di affrontare politiche e aggiustamenti che Offe individua in «un ministro delle finanze europee per gestire tasse e i prestiti sotto diretto controllo del Parlamento Europeo, negli Eurobond, in un piano di sostegno europeo per i disoccupati, e magari anche nella cancellazione di alcuni debiti».