Spazzatura, rifiuti, pattume, sporcizia, robaccia, sudiciume, sozzura, lerciume, lordura: sono solo alcuni dei sinonimi con cui siamo soliti riferirci all’immondizia che produciamo e scartiamo ogni giorno. Conosciamo il passato e il presente di questi scarti, ma ignoriamo – più o meno consapevolmente – il loro futuro. Il motivo è semplice: il mondo dei rifiuti è invisibile per definizione. Gli spazi in cui finiscono i nostri cumuli di immondizia,tuttavia, oggi rischiano di diventare più visibili che mai. La ragione di questa novità risiede non soltanto in politiche inefficienti (la cattiva amministrazione della raccolta dei rifiuti), ma rimanda a fattori strutturali come gli stili di vita che rischiano di produrre più immondizia di quanta ne possa essere assorbita dal nostro ecosistema. L’altra faccia dell’innovazione – soprattutto di quella tecnologica – è la rapida obsolescenza delle merci, la loro repentina degradazione a rifiuti. Maggiore innovazione, oggi, significa anche accelerazione della produzione di rifiuti. D’altra parte, i rifiuti non consistono solamente in merci degradate a scarti inutilizzabili. Tali sono anche i rifiuti industriali: il loro smaltimento è regolato da apposite normative, che spesso vengono trasgredite per abbattere i relativi costi, con conseguenti danni all’ambiente. Al di fuori dell’economia produttiva, poi, si trovano i titoli finanziari cosiddetti “spazzatura” (Junk bonds), il cui tasso di rendimento è direttamenteproporzionale ai rischi di rapida svalutazione. Il mondo più o meno visibile dei rifiuti non è composto solamente da questi titoli spazzatura, da merci usate e gettate via, da scarti industriali, da luoghi resi inabitabili dallo sfruttamento intensivo delle risorse estratte: da queste stesse terre, infatti, fuggono quegli esseri umani che bussano alle porte della Fortezza Europa per migliorare le loro condizioni di vita e che troppo spesso vengono “rifiutati” dai paesi d’arrivo. Vere e proprie vite di scarto rischiano di diventare anche quelle di chi è escluso dal mondo del lavoro o di chi ha avuto la fortuna di trovarvi un posto, al prezzo di condizioni indecenti di sfruttamento che rendono permanente la minaccia di venirne esclusi. Ma siamo così sicuri che ciò che è improduttivo o inutilizzabile sia da buttare via? A partire da questa e da altre domande connesse alla produzione di scarti (umani e non), il percorso si propone di sviluppare una cultura ecologica capace di problematizzare il ciclo produttivo e i consumi su cui si basano i nostri stili di vita.

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Referente percorso: Leonard Mazzone

email: leonardmazzone@libero.it