di David Trangoni (Futura news – Master in giornalismo “Giorgio Bocca”)

Entro il 2050 il peso della plastica negli oceani e nei mari pareggerà il peso totale degli esseri viventi che li abitano: un minaccia per la vita sul pianeta e un problema di democrazia.

Nella cornice dell’Accademia delle Scienze, le ricercatrici Eugenia Delaney e Francesca Santoro, con il giornalista Franco Borgogno, hanno parlato delle conseguenze e delle possibili soluzioni della massiccia presenza di materiali plastici nelle acque. «Dobbiamo gestire l’emergenza oggi, prima che diventi insostenibile per la prossima generazione – ha detto Borgogno, reduce da una spedizione nel mare Artico per studiare gli effetti dell’invasione della plastica – La funzione degli oggetti di plastica è limitata nel tempo, ma il materiale dura per sempre».

La densità di plastica negli oceani è altissima e gli effetti sull’ambiente sono disastrosi sotto diversi aspetti. Le materie plastiche si degradano più lentamente in mare e liberano sostanze tossiche, che avvelenano la catena alimentare dalle fondamenta. Le microplastiche non vengono digerite dai microrganismi marini, ma le nanoplastiche sì, facendo passare i veleni ai pesci e poi all’uomo. Un altro problema è rappresentato dalla morte per soffocamento e ingestione: le attrezzature da pesca abbandonate e gli oggetti di plastica non degradati fanno strage degli animali più grandi, soprattutto tartarughe e delfini. L’ingestione di materiali di scarto provoca anche modificazioni letali del comportamento della fauna marina.

Ci sono soluzioni praticabili? Delaney pensa che «si debbano chiedere ai governi e alle istituzioni leggi più efficaci e la promozione di politiche di sostenibilità ambientale, ma molto passa anche dalla nostra consapevolezza e dalle piccole azioni del quotidiano».

Riciclare bene non basta, perché il procedimento non può essere ripetuto all’infinito. Per questo bisogna consumare meno plastica e fare pressione sulla catena di produzione affinché si producano materiali sostenibili.