di Corinna Mori (Futura news – Master in giornalismo “Giorgio Bocca”)

A bordo piscina alcuni ospiti chiacchierano sulle sedie a sdraio, quando nell’altra ala della casa scoppia un incendio. Non ne conoscono bene gli abitanti, ma li sentono correre attraverso il corridoio che unisce i due blocchi dell’edificio. Sono passi affannati quelli che arrivano, scomposti. Così chi era in costume si alza e chiude la porta del corridoio davanti a chi sta fuggendo dalle fiamme. Senza pensare che sono sotto lo stesso tetto.

È con questa metafora che Hakan Günday, durante l’incontro per Biennale Democrazia condotto da Enrico Remmert,  descrive il mondo occidentale turbato dalle migrazioni. Un tema che lo scrittore turco ha approfondito nel libro “Ancóra”, edito da Marcos y Marcos, attraverso gli occhi Gaza, figlio di un trafficante di profughi, che a nove anni viene messo a guardia della cisterna in cui i clandestini aspettano il prossimo viaggio.

“Qual è la natura della relazione fra l’individuo e il gruppo?” è la domanda che si pongono il libro e il ragazzo, il quale osserva le dinamiche degli intrappolati su cui ha il potere di infierire. Günday racconta che nel 2013 mentre scriveva il libro “ero convinto di aver immaginato ogni atrocità possibile”, ma a distanza di quattro anni deve smentirsi e riconoscere che “non c’è nulla di più violento di un telegiornale”.

“Ci stupiamo che le persone scappino dall’inferno che abbiamo creato” incalza in francese lo scrittore. Un inferno da cui ha dovuto prendere le distanze per mostrarne tutti i suoi lati: chi fa violenza, chi la subisce e chi si ferma a guardarla. Spesso momenti diversi della stessa persona. Così come il migrante a volte diventa insofferente verso chi arriva dopo di lui nel Paese straniero di adozione.

L’autore definisce la paura “un prodotto magico”, perché chi la vende ha il potere di vendere poi qualsiasi cosa, mentre chi la acquista spesso non ne conosce il prezzo. È quanto sta succedendo nel mondo occidentale e nella sua Turchia, ma, nonostante conosca la crudele stupidità di cui gli uomini sono capaci, Günday resta convinto che l’uomo sia “un valore progressista, che chiede di essere migliorato e del quale la sensibilità è un muscolo” che può essere allenato.