di Marco Gritti (Futura news – Master in giornalismo “Giorgio Bocca”)

Emergenza fame, interessi economici, allevamento e agricoltura sostenibili sono alcuni dei fili che si attorcigliano nella narrazione di Martìn Caparròs, giornalista e scrittore argentino intervenuto nella giornata conclusiva di Biennale Democrazia. L’autore del romanzo La fame, pubblicato nel 2014 e tradotto l’anno successivo, racconta in italiano il viaggio che l’ha portato a scrivere la sua decima opera. Tocca il Niger, dove vede «donne che mangiano un pugno di miglio tutti i giorni», passa per gli Stati Uniti, dove scopre che la povertà rima con obesità perché «sono i poveri a essere costretti ad assumere le calorie spendendo 2 o 3 dollari al fast food», fino ad arrivare in Bangladesh, dove raggiunge la consapevolezza della nuova schiavitù dettata dalla fame: sognare di lavorare per 25 dollari al mese. Sì, perché un’emergenza simile spinge le persone al punto di sognare una schiavitù economica del genere, pur di poter avere qualcosa da mangiare.

I dati sull’emergenza alimentare sono drammatici da ogni lato. Novecento milioni di persone soffrono la fame nel mondo che ne uccide mille all’ora. Dall’altra del mondo, intanto, sono gli sprechi a imbarazzare. Anche se leggi e politiche nazionali hanno contribuito, negli ultimi due anni, ad abbassare un dato che, nel 2014, raccontava di circa il 40% di cibo sprecato negli Stati Uniti, la soluzione è ancora lontana. «Non so indicare cosa si possa fare per risolvere il problema – ammette Caparros -, ma so che parlarne, far conoscere il problema, può aiutare. Ai tempi in cui studiavo a Parigi all’università, a metà anni ‘70, il tema ecologico era ad esempio quasi completamente ignorato. Oggi è nelle agende di tutti i politici, anche nei piccoli comuni. Spero che l’emergenza fame faccia lo stesso percorso».

Eppure le risorse ci sarebbero: «Alcuni studi rivelano che il nostro pianeta è in grado di produrre cibo per dodici miliardi di persone, cinque in più di quanti siamo oggi», prosegue l’autore argentino. Eppure c’è una sproporzione insostenibile, insopportabile: «La fame non esiste – e mentre lo dice si legge nei suoi occhi rabbia e delusione – ma esistono molti meccanismi per cui la gente non mangia abbastanza. Il mio dovere era raccontare le storie di questi meccanismi. E sono storie che spesso mischiano politica, finanza, interessi economici, come quelli che hanno portato i paesi occidentali a consumare una quantità spropositata di carne, il cui allevamento richiede una quantità di cereali che potrebbe sfamare molte più persone.

«Pensiamo spesso che la fame sia un problema altrui – conclude Caparros – e il paradosso è che non si muore più per urgenze improvvise, come carestie o guerre, ma quando per anni non si mangia abbastanza. Negli ultimi trent’anni si è fatto tanto, trovando uscite di emergenza funzionanti. Quel che mancano, oggi, sono le uscite strutturali».